Primi passi 
Utente dal: 10/9/2006 14:51 Ultimo accesso: 9/3/2017 8:20
Da Sestu
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Radio Press è fallita. È solo l’ennesima Radio locale, l’ultima di una lunga lista, che ha dovuto chiudere i battenti. Non che mi piacesse particolarmente, e sorvolo sui motivi, ma sicuramente ha avuto il grande merito di fare informazione locale, dare voce a tante realtà che faticano a trovare spazi nei vari organi di stampa, coinvolgere tante persone, e fare formazione. Radio Press ha avuto un certo successo in città, soprattutto in certi ambienti, eppure non ce l’ha fatta. Perché? Proverò a spiegare un paio di cose che forse in pochi conoscono. Un tempo era facile fare radio, sia sul piano tecnico che su quello fiscale. Bastavano un po’ di dischi da casa e dagli amici e qualche matto che si mettesse a dire quattro scemenze dietro a un microfono, fare scherzi telefonici, o prendere dediche e richieste musicali e la radio era fatta. Poi tutto è cambiato. Dall’assegnazione delle frequenze in poi, senza entrare nei particolari, le radio “libere”, hanno dovuto sottostare a un processo di “aziendalizzazione”. Non più radio per hobby, dunque, ma veri e propri soggetti giuridici, con obblighi legali e fiscali come le altre imprese. Per legge, le radio locali devono avere almeno due dipendenti, uffici in regola con la normativa sulla sicurezza, tutti gli speaker devono avere l’agibilità, i contributi pagati, avere tutti i supporti audio in originale, pagare la SIAE e tutte le tasse che normalmente strozzano anche le imprese. Con la differenza che le Radio non sono come tutte le altre imprese. Le Radio spendono molto per creare un prodotto che la gran parte di chi lo utilizza non pagherà. In termini economici parliamo di “esternalità”. I costi possono essere coperti solo attraverso donazioni volontarie, sempre rare o inesistenti, contributi pubblici, pubblicità istituzionale e, il modo più ovvio, attingendo dal mercato pubblicitario. In Sardegna la legge sull’editoria ha subito un forte attacco dalla giunta Soru nel tentativo di organizzare il settore secondo criteri di efficienza. Nonostante ciò, ancor oggi la pubblicità istituzionale della Regione e suoi enti, ma anche quella delle Provincie e dei Comuni, viene assegnata in base a criteri poco trasparenti e spesso in base a conoscenze dirette e simpatie personali. Il mercato della pubblicità locale, invece, è stato ucciso dalla mancanza di figure professionali che non avendo argomentazioni, finivano per attuare solo politiche di prezzo, praticando sconti fortissimi pur di avere un contratto. Spesso ciò è stato reso possibile da chi aveva le spalle più coperte, ma anche da tanti improvvisati del mestiere. Come può vivere una Radio che vende uno slot a 2€ o perfino a 50 centesimi? Quanta pubblicità serve per coprire i costi degli uffici, degli impianti di trasmissione, delle apparecchiature, della corrente, del personale, delle tasse? Tutto questo, io credo, ha fatto sì che la pubblicità radiofonica fosse svilita anche nell’immaginario collettivo. Va anche detto che in Sardegna oltre ad un esiguo bacino di utenza, c’è una forte frammentazione e le Radio sono ancora una cinquantina e di queste alcune sono poco più che Radio condominiali e gran parte sono Radio di quartiere, di paese, o al massimo cittadine. Ma tutto questo non si sa. O meglio, non si vuole sapere, e non si vuole far sapere. Perché è facile dichiararsi Radio Regionali o Radio Provinciali, ma di fatto, chi controlla? E chi ha interesse a saperlo? Nessuno, o quasi. Invece gli strumenti per le misurazioni del segnale e del bacino di utenza e gli strumenti di indagine statistica ci sarebbero. Ho provato a proporre anni fa uno studio al Corerat, ora Corecom, ma è stato inutile. Si è sempre preferito affidare studi improbabili e superficiali all’Università. Chi dirige quell’ente sono giornalisti o politicanti che di radio non sanno nulla e non vogliono sapere. Chi ha osato aderire alle indagini di mercato di Audiradio prima ed Eurisko poi, ha dovuto constatare sia gli altissimi costi ma soprattutto i forti limiti, per dir poco, di un sistema di indagine statistica obsoleto e impreciso che sembrerebbe quasi una presa in giro se non fosse per il carattere vessatorio. Io penso che gran parte delle Radio in Sardegna abbia il fiato corto. Non credo che si possa dare la colpa agli editori, perché avere una Radio vuol dire avere un pozzo mangiasoldi senza fondo. Da anni penso, forse ingenuamente, che solo una forte azione da parte della politica e un dialogo fra i concessionari possa portare a qualcosa di buono, ma la rivalità e alta e ciascuno cura il proprio orticello. Sono anche convinta che l’eccessiva frammentazione di nano e micro Radio non serva a nulla e nessuno e non potrà durare e l’agonia delle emittenti radiofoniche locali sarà destinata a durare a lungo. Stefania!
Inviato il :1/6/2013 20:04
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